ESPZ ASS. CULT.
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about ESPZ
Patricia Buffa
http://dweb.repubblica.it/dweb/2009/03/28/culturaespettacoli/dshow/057dan63957.html
Rigorose registrazioni di risate per concerto, sospese atmosfere noir raccontate da un marionettista serial killer, cartografie personali ed affettive raccontate attraverso oggetti di uso quotidiano, scorie di movimenti, avanzi di un pranzo e resti di vacui discorsi che disfano l’alfabeto della danza. Sono frammenti degli spettacoli che Atonia Baeher, Gisèle Vienne, Maria Jerez, Claudia Dias e Caterina Segna mettono in scena al festival Danae (Milano 24 marzo- 30 aprile) sperimentando, con uno sguardo femminile non convenzionale, le direzioni della ricerca artistica internazionale nelle arti performative. La scena nazionale, oltre ad essere rappresentata da compagnie consolidate come Motus ed MK, quest’anno presenta una novità. Il festival ha infatti avviato il progetto Ares di residenza e produzione per giovani compagnie emergenti. Per questa edizione uno degli spettacoli prodotti è Issue n°1 delle ESPZ, una compagnia milanese di origine e berlinese di adozione, formata da due danzatrici e coreografe che si avvalgono della collaborazione stabile di altre due perfomer. Issue n°1 è uno spettacolo che, attraverso lo studio dell’espressività dei volti e della gestualità delle mani, reinterpreta l’iconografia dell’annunciazione come incontro tra forze che dà origine ad un atto creativo.
ESPZ, nome singolare e difficile da pronunciare, che cosa significa?
È vero è quasi impronunciabile, ma visivamente, una volta scritto, ci piaceva moltissimo. S, P, Z sono le consonanti della parola “spazio” che è il concetto alla base ti tutta la nostra ricerca coreografica. La E iniziale sta per esperienza, esperimento.
Vi siete incontrate ed avete dato vita al progetto ESPZ frequentando i laboratori della compagnia romana MK. Che tracce di quell’esperienza permangono nelle vostre coreografie?
La nostra formazione coreografica si è nutrita dell’estetica di Mk. A fine anni 90 hanno aperto una breccia nel mondo della danza contemporanea. Il linguaggio del corpo si fa astratto, il lavoro si concentra sulla potenza del corpo e sull’assenza di interesse verso la drammaturgia. La ricerca sul suono, grazie alla varietà degli esiti offerti dalla musica elettronica, va di pari passo con quella coreografica. Questi sono tutti elementi che ci accomunano.
Il vostro linguaggio sembra meta-coreografico, una sorta di riflessione sulla danza attraverso la danza. Cosa ne pensate?
Quando abbiamo deciso di continuare il nostro percorso da sole avevamo bisogno di riflettere sugli strumenti che fino a quel punto avevamo raccolto. “I know I know” funziona un po’ come un catalogo dell’immaginario coreografico, di gesti quotidiani e cliché decontestualizzati.
“Disparitions” invece è proprio uno spettacolo meta-coreografico, che, traendo spunto da un’opera di Sophie Calle, mette in scena la memoria di uno spettacolo che non c’è più (I know I know), in Flipside attraverso il movimento cerchiamo di costruire un cambiamento prospettico nello spazio.
Si tratta schemi perfettamente strutturati o esistono margini per l’improvvisazione in scena?
Partiamo dalla ricerca dei punti di fuga, degli angoli ciechi, dei vuoti e dei pieni della struttura dello spazio in cui agiamo. All’interno di questa struttura il performer crea dei movimenti che nascono dalla rielaborazione di immagini personali. È un linguaggio libero ed intimo quello che il performer ritrova in scena, che procede per associazioni più che per legami causa-effetto.
La danza contemporanea può apparire difficile da decifrare per un occhio non allenato. Che tipo di rapporto cercate di istaurare col pubblico?La base di ogni coreografia è il lavoro sullo spazio. Il pubblico fa parte dello spazio che agiamo. Questo è già il presupposto per una prima interazione. Attraverso un procedimento associativo lo spettatore riconosce degli elementi della coreografia che possono riattivare in lui un pensiero personale. Ci interessa che la sua mente rielabori qualcosa che riguarda la sua esperienza, non per forza una riflessione sullo spettacolo di per sé.
about DISPARITIONS
Paola Delfino
http://www.teatro.org/spettacoli/recensioni/disparitions_4360
All’improvviso in una sala di teatro ci si trova a ripercorrere fantasie, immagini, visioni e memorie che non ci appartengono, ma catalizzano la nostra attenzione… L’obbiettivo è ridefinire il linguaggio coreografico riconducendolo continuamente al suo momento creativo, raccontandolo verbalmente, quasi per dare una didascalia alla danza che sia capace di prendere per mano lo spettatore, aiutandolo a percorrere le vie dell’immaginazione. Il tema del progetto è rappresentare ciò che non c’è nel qui e ora, ma c’è stato nel passato e lo si può riproporre perché sempre presente nella memoria dell’attore.
L’oggetto mancante è, infatti, una precedente performance della stessa compagnia, “I KnowI Know”. Al Litta “I Know I Know” non ci sarà! Al suo posto la sua stessa assenza/essenza. Adesso che è sparito, “I Know I Know” deve essere raccontato. Così una voce narrante accompagna fotogrammi e danze per darne una chiave di lettura semplificata. I piani temporali vengono moltiplicati. Le fotografie, segni di un passato da ricordare, si mescolano alla cornice vuota in cui il corpo si muove, creando un presente instabile.
È il gioco della memoria, che seppur con stili e linguaggi diversi, unisce spesso il teatro odierno. Semplicistico potrebbe risultare il rimando al “teatro della sottrazione” di Samuel Beckett; alla Winnie di “Giorni Felici”, che ricorda nostalgicamente i tempi andati dal monticello di terra ed erba nel quale è imprigionata. Il tempo, minuto per minuto, la fa scomparire ed insieme a lei scompare la linea sottile che separa passato e presente. Semplicistico il paragone, perché la tristezza di cui è intrisa l’opera beckettiana non è presente in quella di Espz.
Allora forse più che al teatro ci si può rivolgere al cinema per trovare un aggancio! Per esempio a quello di Jean Pierre Jenet, i cui tuffi in mondi lontani e passati stimolano l’immaginazione, facendoci entrare senza possibilità di uscita in una realtà fantastica. “Disparitions”, però, si svolge in un teatro ed ha intenzione di riportaci lì, dopo averci accompagnato nel viaggio. Forse per l’opera d’arte non possono esserci paragoni.
Buona visione ed a ciascuno i suoi ricordi.
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Luigi Coluccio
http://www.differenza.org/articolo.asp?sezione=archivio&ID=244
Compagnia nata nel 2002 dall’incontro tra Nandhan Molinaro e Elisa Zucchetti, entrambe coreografe e danzatrici, Espz ha presentato a Teatri di Vetro lo spettacolo Disparitions, ispirato all’opera di Sophie Calle Last seen (1991). Prendendo spunto dal celebre furto avvenuto nel 1990 all’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston, in cui furono trafugati circa trenta dipinti di enorme valore – tra cui tre Rembrandt ed un Vermeer -, l’artista francese costruì attorno alla situazione assurda che si venne a creare – per volere della fondatrice del museo, l’edificio nella sua struttura esterna e nella sua disposizione interna non doveva essere modificato: ecco quindi che dopo il furto lungo i suoi corridoi si potevano ammirare solamente le intoccabili cornici oramai vuote- una sorta di complesso “altare all’assenza” innalzato con le foto del museo ormai vuoto e le testimonianze scritte dei guardiani, dei curatori delle mostre, del personale. Espz riprende l’idea che stava alla base di questa celebre opera della narrative art – l’assenza e, paradossalmente, la ricostruzione di questo vuoto - adattandola ad un loro precedente spettacolo, I know I know (2005). Questo diviene la mancanza da permeare, da ricreare, da ricordare. E le modalità adoperate dal duo Molinaro-Zucchetti per cercare di realizzare questo irrealizzabile sono molteplici: proiezioni, letture, canzoni, danza, epistolari, sfruttando al meglio le potenzialità-trappola di uno spazio esterno come il Lotto 12. Una meta-teatralità velata da sottile ironia – si arriva a miscelare nelle musiche gli Apollo 440 ed Edith Piaf, questa ultima presente come “voce esterna femminile” - riecheggia in questo (ri)fare teatro, che si nasce, si articola e si avvolge su se stesso, trasportando lo spettacolo nella pura concezione di ciò che Espz chiama danza.
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Radio Alt
http://www.radioalt.it/radioalt/news.asp?id=144
Disparitions del gruppo Espz al Teatro Litta per la rassegna Danae, eventi extravaganti della nuova scena femminile.
Il gruppo espz è formato da due giovani danzatrici, Nandhan Molinaro ed Elisa Zucchetti, che hanno creato uno spettacolo sul tema della sparizione.
L’idea nasce da un’opera di Sophie Calle che in seguito a un furto in un museo di Boston, dove scomparvero tutte le opere ma rimasero le cornici, creò un’installazione sul tema della scomparsa, della sparizione, del non essere.
Anche in questo caso lo spettacolo diventa un “non-spettacolo”; il ricordo di uno spettacolo precedente che le stesse nm e ez avevano messo in scena. Quindi loro ripercorrono le fasi di una performance che diventa un po’ un sogno, con dei frammenti di coreografie, luci che loro stesse spostano, spengono e riaccendono, parole e musiche interrotte.
Questo per contrastare un altro tipo di ricordo più statico che è rappresentato dal programma di sala, dal programma cartaceo, che è l’unica cosa che rimane in mano allo spettatore dopo lo spettacolo, e che però è una sintesi più fredda e non emozionale, non intima dello spettacolo stesso.
Quindi è la cornice di un’opera ma non è un’opera ma non è l’opera.